Nell’ultimo approfondimento del nostro Magazine abbiamo parlato del cheratocono, analizzandone sintomi, diagnosi e possibili cure. Trattandosi di una patologia oculare degenerativa, le terapie hanno nella maggior parte dei casi uno scopo “contenitivo”: tendono dunque a limitare e a rallentare l’avanzamento della malattia.
Il cheratocono si manifesta principalmente nei giovani in età adolescenziale, con frequenza maggiore nel sesso femminile. La carta d’identità del paziente (insieme ai parametri morfologici del bulbo oculare) rappresenta un fattore chiave per stabilire la tipologia di cura necessaria e più adatta al singolo caso. Se il soggetto colpito è adolescente (o poco più), spesso si ricorre al cross-linking. L’innovativa metodica è particolarmente indicata per i pazienti che presentano un’evoluzione della patologia. Questo trattamento mira, infatti, a incrementare la resistenza del tessuto corneale, evitando il progressivo sfiancarsi della cornea ed il concomitante deterioramento visivo.
Il cheratocono in età adulta tende ad arrestarsi spontaneamente (intorno ai 35-40 anni). In questi casi si può ricorrere all’impianto di anelli intrastromali di materiale plastico trasparente (lo stesso utilizzato per le lenti intraoculari per la cura della cataratta) che vengono impiegati per modificare la curvatura della cornea.
Quali sono i benefici che ci si può attendere?
La riduzione della deformazione e dell’irregolarità corneale consente un recupero del potere refrattivo e un conseguente miglioramento visivo, sia a occhio nudo sia con l’ausilio di occhiali e/o lenti a contatto.
Introdotti nel 2000, gli anelli intrastromali sono di diverse tipologie (i più utilizzati sono noti come “Keraring”). Col passare degli anni la loro efficacia è aumentata grazie ad un’evoluzione tecnologica che ha permesso di superare la manualità del chirurgo in favore di una procedura computerizzata. Oggi, infatti, l’inserimento avviene tramite l’ausilio del laser a femtosecondi, che consente di massimizzare la precisione e di raggiungere un incremento dell’acuità visiva dei pazienti trattati, i quali, oltre a limitare il cheratocono, possono contare su una riduzione significativa dei vizi refrattivi ad esso collegati.